“Sono le solite dicerie da bar”. Credo dovremmo rivalutare questa affermazione nell’epoca in cui i social media digitali potrebbero rischiare di portarci in un nuovo medioevo culturale, dominato da haters (letteralmente “coloro che odiano”) e seminatori di bufale (gli antichi “contaballe” nostrani).
A Facebook e soci manca la sana vecchia “regola del bar”: una sorta di pesatura naturale delle affermazioni fatte e delle notizie riportate.
Così quando ero un ragazzo e, ad esempio, si parlava di calcio, le mie considerazioni avevano un peso minore nella formazione dell’opinione del gruppo, perché altri venivano riconosciuti come più informati ed esperti, mentre si invertivano i ruoli se magari invece si parlava di tecnologia.
Insomma era abbastanza facile distinguere la “boiata colossale” dalla notizia da riportare.
Ora è tutto sparito. Sui social tutti sono uguali. E più la spari grossa, più like ottieni e con essi visibilità e “autorevolezza digitale”. Poco importa che si tratti di invisibili scie chimiche, immagini di esseri viventi su Marte o dati economici fasulli elaborati da sedicenti esperti. Non conta più nulla. Puoi essere un pericoloso sociopatico sotto farmaci ma la tua opinione può risultare più “autorevole” e pesante di quella del medico che ti ha in cura.
In questo senso dobbiamo tornare alla “regola del bar”. Non tutte le persone che scrivono post e tweet hanno lo stesso peso.
Prima di condividere o mettere like informiamoci, documentiamoci, torniamo a fare quello che si faceva una volta con i nonni: chiediamo. A un amico, a un parente o magari allo stesso soggetto interessato dalla notizia o dalla non-notizia.
Anche se è più faticoso dobbiamo tornare a costruirci un’opinione consapevole, basata su fatti e sulla predominanza della ragione. Prima che l’odio e una falsa idea delle cose rendano davvero impossibile trovare le soluzioni necessarie ai problemi reali.