La pandemia ha bloccato in poche settimane l’intera società globale, che si è dimostrata fragile e senza difese adeguate. Nei paesi che si sono difesi meglio va riconosciuto il ruolo di politiche e investimenti migliori in materia di sanità.
Un grazie va ovviamente ai tanti operatori e professionisti del settore che spesso sono andati oltre il loro compito e hanno in molti casi evitato conseguenze ancora peggiori.
Grazie anche ai tanti volontari e a tutti i componenti delle nostre comunità, che con grande senso di responsabilità hanno contribuito a dare supporto alle famiglie in difficoltà e a contenere la diffusione del virus. Come a chiunque si stia trovando a lavorare in prima linea, in qualunque settore sia.
Una cosa però mi ha stupito: la relativa rapidità con cui gli Stati hanno trovato ingenti risorse per superare i danni generati al sistema socio-economico. 2mila miliardi di dollari gli Stati Uniti, 2mila miliardi di euro l’Europa, qualcosa di simile l’Asia con Cina e Giappone.
Eppure, in tutti questi anni, la risposta ricorrente dei decisori politici ed economici al potere, era che soldi non ce ne erano. Non dico per le vicende ordinarie, ma per contrastare quei pericoli ancora più gravi per la civiltà umana, quelli che già oggi ogni anno uccidono ben più persone di quelle che tragicamente conteremo alla fine della pandemia.
Mi riferisco ai due fattori che più stanno mettendo in crisi la società moderna: i cambiamenti climatici globali (e le loro cause) e l’allargamento della forbice sociale tra chi si può permettere una vita appagante e chi non ha i mezzi per sostenersi, pur tra mille sforzi, e spesso pur lavorando duramente.
Posta così è una provocazione, certo, una semplificazione. Ma non del tutto. Per questo mi piacerebbe ripartissimo da qui. Per usare queste risorse non solo per rispondere a questa pandemia, ma per cogliere l’occasione per riprogettare senza preconcetti il presente e il futuro.
(qui puoi leggere il giornalino digitale: https://ita.calameo.com/read/00616996073a2d260d9a3)