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Buongiorno a tutti e benvenuti anche quest’anno alle Celebrazioni per il 25 aprile.
Come ogni anno, ci ritroviamo in tutte la Piazze italiane per ricordare l’anniversario di quella data che per le nostre popolazioni simboleggia la fine di un incubo, la fine della privazione della libertà operata dal regime nazifascista, che tanto dolore e sofferenza ha provocato alle famiglie italiane, costrette ad anni di violenze e soprusi; in un’epoca storica che ha portato alla morte di milioni di persone innocenti nel nome di una superiorità presunta di una razza, di una civiltà, sul resto del mondo.
Lo ricordo perchè per molti, a soli settant’anni da quel periodo, questa giornata si è ridotta purtroppo a un giorno di vacanza da passare al mare o magari a fare shopping in un negozio, dimenticando soprattutto la scelta che fecero molti giovani donne e giovani uomini di non piegarsi e spesso di sacrificare la propria vita per la libertà che noi abbiamo e di cui possiamo godere oggi.
Troppo spesso sento persone che parlano di quel periodo come, tutto sommato, di un tempo in cui le cose non andavano poi così male e altre ancora che addirittura rispolverano antichi simboli di quel regime fascista che nulla ha da condividere con una società che si possa definire civile.
E questo è molto pericoloso.
Se la comunità, che è la somma di tutti noi, dimentica o peggio ancora modifica i fatti a proprio piacimento si lascia proprio quello spazio che permise ai populismi di affermarsi e radicalizzarsi sino alla presa del potere e alla repressione contro i dissidenti.
Siamo portati a pensare che la colpa sia sempre degli altri ma furono proprio le persone, persone comuni, quelle che oggi definiremmo parte della maggioranza silenziosa, che fecero crescere quel gigantesco mostro che ci trascinò in uno dei periodi più bui della storia recente, nell’indifferenza di quello che succedeva ‘agli altri’ di turno, o peggio ancora nella tentazione di sfogare frustrazioni o voglia di banale rivalsa per interessi privati e particolari, magari verso chi con il duro lavoro aveva ottenuto miglioramenti della propria condizione di vita.
Vedo molte analogie in questa società. Vedo quell’indifferenza. Vedo quel disagio. Vedo quella voglia di trovare semplificazioni e capri espiatori. Vedo quell’odio.
Mai mi sarei immaginato nel 2017 come Sindaco di questa comunità di dover fare un’ordinanza che richiama la necessità di vigilare sulle nostre feste di paese affinché siano impediti l’esposizione e la vendita di oggetti nazifascisti.
Mai mi sarei immaginato di vedere tante persone, figli di quella generazione che tanto ha pagato in termini di sangue e sofferenza, interessate ad acquistare quegli oggetti.
Mai mi sarei aspettato di vedere tra quelli che dovrebbero rappresentare il popolo nelle istituzioni – quel ruolo che hanno proprio grazie al sistema democratico per cui tanti hanno combattuto – cavalcare la tigre di questo disagio, non lavorare per attutirne i sentimenti risolvendo i problemi. Vedo seminare voglia di vendetta, non coltivare la solidarietà della comunità.
Vedo rispolverare anche vecchi slogan e cavalli di battaglia di quei populismi che senza più gli anticorpi della conoscenza della storia, riprendono vigore tra la gente, tra i giovanissimi, nell’immaginario di poter ritornare in un mondo, del tutto inventato, in cui l’eliminazione dell’altro avrebbe portato benessere e sicurezza a tutti, e non privazione ed orrore come invece è stato.
Vedo l’indebolimento del sogno europeo e il successo sulla scena di leader apertamente razzisti ed estremisti. Penso all’Ungheria, a quello che potrebbe succedere in Francia. Penso al neoeletto presidente americano Trump e ai suoi muri. La tentazione – a cui hanno apertamente ceduto per esempio i sostenitori della Brexit – di pensare prima ai propri interessi, senza capire che questo significa innescare un domino in cui saranno anche i nostri interessi alla fine ad essere danneggiati. Vittime di una valanga che prima o poi ci raggiungerà e di cui siamo stati noi stessi a far rotolare la prima pietra. Nell’illusione che il sistema pacifico e democratico che esiste in Europa solo da qualche decennio sia una cosa naturale ed immutabile, capace di resistere a tutto, e quindi cosa sarà mai toglierne ognuno un piccolo pezzettino.
Penso all’incapacità, non solo di condannare apertamente, ma spesso addirittura di saper vedere, comportamenti antidemocratici come quelli perpretati dal regime turco, che ogni giorno aggiunge elementi pericolosi per la democrazia e per la tenuta di tutto il sistema mondiale. E lasciatemi, in questo senso, ringraziare tutti quelli che si sono mobilitati per riportare a casa il giornalista Gabriele Del Grande, bloccato perchè colpevole solo di fare il suo lavoro, raccogliere la testimonianza della tragedia dei profughi siriani e fare luce sulle atrocità dietro la più ampia tratta dei migranti.
E proprio i migranti, o meglio i richiedenti asilo, sono diventati i nuovi “diversi” sui cui concentrare l’attenzione dei novelli fasulli patrioti e su cui proprio non si può tacere nella giornata in cui parliamo di diritti e democrazia. Da un lato essi sono strumento di guadagno per gli aguzzini senza alcuna pietà umana: i mercanti di uomini, rivisitazione dei mercanti di schiavi dell’epoca moderna. Dall’altro, formidabile strumento per battaglie politiche di gruppi che senza scrupoli banalizzano l’immane tragedia di questi uomini e donne e fomentano paure alimentando falsità e pregiudizi talmente enormi da stentare a pensare che qualcuno possa veramente credere a quelle bugie.
E invece in molti cadono in quella trappola, in quella disinformazione, a quella promessa magari di una vita più sicura semplicemente togliendo di torno il nemico di turno. Fatta mitizzando singoli episodi, per un pugno di voti e per interessi di facile gloria personale. Magari senza mai proporre alcuna soluzione realmente percorribile, ma solleticando la pancia di alcuni strati di popolazione, quelli più vulnerabili, vuoi per le condizioni economiche, vuoi per lo sfilacciarsi dei legami sociali. Per quella presunzione di gran moda oggi, di non aver mai bisogno che nessuno ci insegni nulla. Nessun bisogno di sapere nulla del passato, nessun bisogno degli storici e sfiducia verso ogni cosa ammantata di istituzionalità e ufficialità.
Ecco. Credo che a questo servano questi momenti. A scuoterci.
A chiederci se abbiamo fatto troppo poco con i nostri figli, con i nostri fratelli con i nostri amici per ricordargli come sono andate le cose.
A chiederci se come istituzioni stiamo facendo abbastanza nelle scuole, nelle famiglie, per superare quella diffidenza che bolla tutto ciò che riguarda la storia di quegli anni come un fatto ‘politico’ e non come tragici eventi da ricordare per non ripeterli, come invece sta accadendo, in futuro.
In questo senso, grazie anche alle ANPI di Valsamoggia che ringrazio di cuore, abbiamo recentemente presentato due libri di straordinaria valenza: uno curato da un brillante e appassionato giovane storico, Daniel Degli Esposti, che si intitola “Radici di Futuro” e racconta la storia dei tanti monumenti dedicati ai nostri caduti disseminati in tutta Valsamoggia.
L’altro che ricorda l’immane tragedia che ha vissuto l’eroina partigiana Gabriella Degli Esposti, di Calcara, torturata e uccisa per essersi opposta al regime fascista, raccontata da sua figlia Savina Reverberi.
Vi voglio lasciare proprio con un passaggio di quel testo, quello in cui viene riportata la motivazione del conferimento della medaglia d’oro al valor civile a Gabriella, giovane donna, madre di due piccole bambine e che portava in grembo il terzo figlio che sarebbe nato solo poche settimane dopo.
…
Questo è stato il volto del fascismo, questo è il vero volto dei regimi antidemocratici odierni, ad ogni latitudine. Il volto che stava nascosto dietro a un consenso politico inizialmente nato col populismo e la demagogia. Questo è il rischio che porta con sè la continua battaglia ad un sistema che invece, pur con tutte le difficoltà, ci garantisce libertà e democrazia.
Dobbiamo riscoprire la nostra Coscienza attiva. La coscienza che ci possa fare uscire dall’individualismo predominante e da quella sottile bolla in cui ci illudiamo di poter vivere sereni semplicemente lasciando fuori tutti gli altri, alzando muri o creando nuove categorie da combattere.
Questo è forse l’insegnamento più forte che credo dovremmo tenere sempre bene a mente: lavorare per unire e non per dividere.
Perché non ce lo dobbiamo dimenticare mai ci si salva solo tutti insieme.
Buona Festa della Liberazione a tutti!
Viva la Resistenza Viva l’Italia