Nessuno mai ci chiese: l’inferno nazifascista vissuto a soli 17 anni

gasiani_copertinaMi capita spesso di chiedermi se stiamo facendo abbastanza per evitare il ritorno di eventi tragici come quelli avvenuti durante il ventennio nazifascista. Poi, leggo il libro della testimonianza di un ragazzo di quei tempi, di soli 17 anni, che visse l’orrore della deportazione, di quegli interminabili giorni passati nell’inferno dei campi di concentramento e mi rispondo di no.

Il libro racconta la storia di Armando Gasiani e di suo fratello Serafino, nati a Castello di Serravalle, e residenti ad Anzola; una delle tante storie di quei milioni di ragazzi che nel momento più bello della loro vita hanno dovuto affrontare l’indescrivibile violenza dell’olocausto e hanno dovuto scegliere da che parte stare, rischiando la vita in prima persona.

dedica1dedica2Il racconto è un pugno dritto nello stomaco, duro e crudo nella descrizione della tragica realtà quotidiana della non-vita all’interno del campo di concentramento di Mauthausen, in cui il confine tra la vita e la morte è cancellato dall’indescrivibile violenza dei carnefici che gestivano la struttura.

E proprio nel titolo penso stia l’insegnamento più forte: i pochi superstiti, rientrati in Italia, furono messi nelle condizioni di non raccontare quell’orrore, quasi a voler seppellire per sempre quella pagina nera della nostra storia anzichè affrontare gli errori, figli in gran parte anche del cedimento populismo di quegli anni, che portarono al regime e alla guerra.

dedica3Non dimentichiamo quindi oggi quei ragazzi che hanno scelto di ‘resistere’ per fare in modo che tutti noi oggi possiamo ‘esistere’, in un mondo certo difficile, ma almeno libero e democratico. Ce lo dovremmo ricordare più spesso e avere almeno una briciola di quel coraggio e di dignità di quei giovani per respingere con forza chi quotidianamente insulta e tenta di distruggere invece che rigenerare quelle istituzioni democratiche nate dal coraggio di chi scelse di stare dalla parte giusta.

(questo articolo lo voglio dedicare al partigiano montevegliese Remo Righetti recentemente scomparso, qui sotto durante le celebrazioni del 25 aprile 2011)MO-AI11-FL-004

Il rigore dei princìpi

“Un popolo che non è felice non ha patria, non ama nulla”

Ho finito di leggere da pochi giorni “Terrore e liberta” saggio di Albert Soboul sulla vita e le opere di uno dei protagonisti della Rivoluzione Francese, Louis Antoine de Saint-Just. Al di la delle sue idee, spesso in contraddizione con gli stessi propositi dell’autore e che hanno segnato la terribile stagione del terrore , sono rimasto affascinato dal rigore e dalla tenacia con cui le ha difese per tutta la sua, breve, intensa vita. Nessuna paura di andare contro corrente e neppure di battersi per la logica dei suoi ragionamenti. Integerrimo nella vita e ancor di più nella sua attività politica muore per mano della ghigliottina insieme ad altri robespierristi senza la possibilitè di chiudere il suo discorso in difesta dell’incorrutibile Robespierre il 9 termidoro.

Il modo con cui ha vissuto la sua esistenza proprio oggi in un periodo storico dove etica e rigore sono parole rimaste solo nel vocabolario, rende questo documento di stretta attualità e dovrebbe far riflettere chiunque sia in posizione tale da essere da esempio per la collettività: “dice la verità affinchè essa istruisca e non perchè offenda”, “la sua onestà non è astuzia intellettuale bensì una qualità del cuore e bene intesa”.

Ringrazio Claudio che mi ha segnalato la storia di questo personaggio e ha voluto donarmi (o meglio, come dice lui, trasferirlo dalla sua libreria alla mia..) una sua vecchia copia originale (1971) del libro che non è più stampato.

“Le circostanze sono difficili soltanto per coloro che indietreggiano dinanzi alla tomba.. Io disprezzo la polvere di cui son fatto e che vi parla; si potrà perseguitarla e farla morire questa polvere, ma sfido a strapparmi la vita indipendente che mi son data nei secoli e nei cieli.” (da Istituzioni Repubblicane)