Carabinieri Valsamoggia. Nuovo Maresciallo nella stazione di Bazzano

CARABINIERI VALSAMOGGIA: NUOVO MARESCIALLO NELLA STAZIONE DI BAZZANO. Ho partecipato oggi alla cerimonia di…

Pubblicato da Daniele Ruscigno su Martedì 7 febbraio 2017

MAPE continuerà a produrre a Valsamoggia. Mantenuti tutti i posti di lavoro

MAPE CONTINUERÀ A PRODURRE A VALSAMOGGIA: MANTENUTI TUTTI I POSTI DI LAVORO. Dopo una lunga giornata iniziata questa…

Pubblicato da Daniele Ruscigno su Mercoledì 28 dicembre 2016

La ciclabile Bazzano Monteveglio tra i progetti metropolitani finanziati

Rientrano tra i 58 milioni di euro appena ottenuti dalla Città Metropolitana per il “Piano per le periferie” (progetto di riqualificazione del territorio metropolitano), i finanziamenti per la realizzazione della ciclabile che collega  Bazzano e Monteveglio nel tratto fino a via Barlete, già finanziata da fondi propri del Comune di Valsamoggia che ora potranno essere utilizzati per altri investimenti.
Gli stanziamenti, in arrivo dal Governo, erano stati richiesti attraverso la partecipazione al “Bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città metropolitane e dei Comuni capoluogo di Provincia” approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 maggio 2016.

Alla soddisfazione del Sindaco Metropolitano Virginio Merola, secondo il quale “è proprio con questi progetti che prende avvio la costruzione del sistema metropolitano a dimostrazione che, insieme, possiamo ottenere grandi risultati”, si aggiunge ovviamente la mia perché si riconosce di valenza metropolitana il nostro piano della ciclabilita presentato qualche mese fa.

La Città metropolitana di Bologna aveva presentato due proposte: una per progetti relativi al Comune di Bologna, per un importo massimo di 18 milioni di euro, e una per progetti specifici per gli altri Comuni metropolitani per un importo massimo di 40 milioni di euro. Ed è proprio tra questi che rientra il progetto che riguarda Valsamoggia.

Qui un approfondimento sul Piano Mobilità Ciclabile a Valsamoggia

Commemorazione eccidio Martiri del Panaro. 1946-2016

Il testo integrale del discorso che ho tenuto oggi pomeriggio in occasione della commemorazione dei Martiri del Panaro in cui morì anche Gabriella Degli Esposti, Medaglia d’oro al Valor Militare della Resistenza.

“Castelfranco, 17 Dicembre 2016

Buongiorno a tutti i cittadini presenti, ai colleghi Sindaci a Iames e Savina e grazie per essere qui questo pomeriggio.

E’ un onore per me oggi avere il compito di ricordare quei terribili fatti accaduti poco più di 70 anni fa.

Tanti nella vita di una persona, pochissimi per una comunità che a volte sembra aver già dimenticato tutto di quei terribili giorni, in cui la tanto citata superiorità dell’essere umano lasciò il posto alla bestiale brutalità delle persone che sostennero il regime nazifascista.

Parlo di persone e non di fascismo inteso come entità politica astratta.

Perchè spesso ci dimentichiamo che furono proprio le persone, persone comuni, quelle che oggi definiremmo parte della maggioranza silenziosa, che fecero crescere quel gigantesco mostro che ci trascinò in uno dei periodi più bui della storia recente, nell’indifferenza di quello che succedeva ‘agli altri’ di turno, o peggio ancora nella tentazione di sfogare frustrazioni o voglia di banale rivalsa per interessi privati e particolari, magari verso chi con il duro lavoro aveva ottenuto miglioramenti della propria condizione di vita.

Il racconto di Savina è incredibilmente duro. E non poteva non esserlo. Quello che colpisce, ma che purtroppo è ricorrente in tanti altri casi di martiri del regime, è la completa perdita di un qualsiasi briciolo di pietà umana.

Nulla fermò la ferocia con cui si accanirono, in particolare contro la nostra popolazione che in gran parte non si piegò all’idea di essere privata della propria libertà.

La scelta che fecero quelle giovani donne e giovani uomini fu terribile. Diventare essi stessi carnefici in cambio della promessa del mantenimento di una parvenza di vita normale, o ribellarsi andando incontro a morte quasi certa per lottare contro la dittatura.

E quella scelta fu ancora più dura per Gabriella perchè era una madre e lo sarebbe stata nuovamente, perchè era una moglie, perchè era una figlia.

Non possiamo dimenticarlo quando ricordiamo quei fatti. Non possiamo dimenticarlo oggi quando spesso per quelli che imprecano e si lamentano di tutto e tutti, la scelta più dura che hanno fatto è rappresentata dal colore del telefonino nuovo.

E quindi torno a parlare delle persone.

Perchè, lo dico con un brivido che mi corre lungo la schiena, mi capita purtroppo di vedere molte analogie in questa società. Vedo quell’indifferenza. Vedo quel disagio. Vedo quella voglia di trovare semplificazioni e capri espiatori. Vedo quell’odio.

E vedo alcuni tra quelli che dovrebbero rappresentare il popolo nelle istituzioni, cavalcare la tigre di questo disagio, non lavorare per attutirne i sentimenti risolvendo i problemi. Vedo seminare voglia di vendetta, non coltivare la solidarietà della comunità.

Vedo rispolverare anche vecchi cimeli e cavalli di battaglia nazifascisti che senza più gli anticorpi della conoscenza della storia, riprendono vigore tra la gente, tra i giovanissimi, nell’immaginario di poter ritornare in un mondo, del tutto inventato, in cui il regime avrebbe portato benessere e sicurezza a tutti, e non privazione ed orrore come invece è stato.

Vedo l’indebolimento del sogno europeo e il successo sulla scena di leader apertamente razzisti e di estrema destra. Penso all’Ungheria, a quello che sarebbe potuto succedere in Austria, a quello che potrebbe succedere in Francia. Penso al neoeletto presidente americano Trump.

Credo che a questo servano questi momenti. A scuoterci.

A chiederci se abbiamo fatto troppo poco con i nostri figli, con i nostri fratelli con i nostri amici per ricordargli come sono andate le cose.

A chiederci se come istituzioni stiamo facendo abbastanza nelle scuole, nelle famiglie, a superare quella diffidenza che bolla tutto ciò che riguarda la storia di quegli anni come un fatto ‘politico’ e non come un tragici eventi da ricordare per non ripeterli in futuro.

Salvo poi vedere alcuni di quegli stessi paladini dell’anti politica e che si battono per tenere fuori la Resistenza dalle scuole in quanto argomento politicizzato, sfilare con movimenti neonazisti con tanto di bandiere e svastiche, dicendo che in quel caso non è politica ma è solo folklore.

Io ho avuto il privilegio di sentire dalla viva voce di chi ha vissuto quei momenti il racconto della vita in quel periodo. La mia nonna, di Pianoro in quell’appennino terra di nessuno che ha pagato un conto altissimo in termini umani, sfollata a poco più di dieci anni dai fascisti, mi ha trasmesso sin da piccolo quei terribili giorni, passati a cercare del cibo e andando oltre i tanti morti spesso lasciati nelle strade e nei boschi. Probabilmente per questo non si sono trasformati nella mia mente solo in vaghi racconti simili alle battaglie virtuali di un videogioco come purtroppo è successo a molti della mia generazione.

Ma il tempo ci sta privando sempre più di quelle testimonianze dirette e la nostra responsabilità si fa ancora più grande perchè da quello che faremo noi dipenderà il proseguimento del faticoso cammino alla ricerca della libertà o il lento scivolamento di nuovo in quelle tenebre.

Per questo è importante la testimonianza di Savina e di tutti quegli allora giovani ragazzi che hanno dovuto convivere con quelle tragiche esperienze e che le consegnano a noi per non custodirle sulla mensola di una libreria ma per applicarli nella coscienza attiva della vita quotidiana.

Coscienza attiva. Che ci possa fare uscire dall’individualismo predominante e da quella sottile bolla in cui ci illudiamo di poter vivere sereni semplicemente lasciando fuori tutti gli altri, alzando muri o creando nuove categorie da combattere.

E quindi in questa giornata d’inverno in cui la possibilità di poterci riunire liberamente e alla luce del sole a parlare ci è stata garantita dal sacrificio di tanti giovani donne e uomini, questo è forse l’insegnamento più forte che credo dovremmo tenere sempre bene a mente: lavorare per unire e non per dividere.

Perché non ce lo dobbiamo dimenticare mai ci si salva solo tutti insieme.

Grazie”.

Era meglio il bar dei social network

scena dal film “Bar Sport” (2011)

“Sono le solite dicerie da bar”. Credo dovremmo rivalutare questa affermazione nell’epoca in cui i social media digitali potrebbero rischiare di portarci in un nuovo medioevo culturale, dominato da haters (letteralmente “coloro che odiano”) e seminatori di bufale (gli antichi “contaballe” nostrani).

A Facebook e soci manca la sana vecchia “regola del bar”: una sorta di pesatura naturale delle affermazioni fatte e delle notizie riportate.
Così quando ero un ragazzo e, ad esempio, si parlava di calcio,  le mie considerazioni avevano un peso minore nella formazione dell’opinione del gruppo, perché altri venivano riconosciuti come più  informati ed esperti, mentre si invertivano i ruoli se magari invece si parlava di tecnologia.

Insomma era abbastanza facile distinguere la “boiata colossale” dalla notizia da riportare.

Ora è tutto sparito. Sui social tutti sono uguali. E più la spari grossa, più like ottieni e con essi visibilità e “autorevolezza digitale”. Poco importa che si tratti di invisibili scie chimiche, immagini di esseri viventi su Marte o dati economici fasulli elaborati da sedicenti esperti. Non conta più nulla. Puoi essere un pericoloso sociopatico sotto farmaci ma la tua opinione può risultare più “autorevole” e pesante di quella del medico che ti ha in cura.

In questo senso dobbiamo tornare alla “regola del bar”. Non tutte le persone che scrivono post e tweet hanno lo stesso peso.
Prima di condividere o mettere like informiamoci, documentiamoci, torniamo a fare quello che si faceva una volta con i nonni: chiediamo. A un amico, a un parente o magari allo stesso soggetto interessato dalla notizia o dalla non-notizia.
Anche se è più faticoso dobbiamo tornare a costruirci un’opinione consapevole, basata su fatti e sulla predominanza della ragione. Prima che l’odio e una falsa idea delle cose rendano davvero impossibile trovare le soluzioni necessarie ai problemi reali.

Un faro su Valsamoggia. L’editoriale dell’ultimo numero del periodico

La recente apertura del casello autostradale si inserisce bene nella strada dell’innovazione intrapresa con la nascita del nuovo Comune unico e finalizzata a creare nuove e importanti opportunità di sviluppo per la nostra comunità.

Investimenti pubblici (ai 21milioni di euro che il Comune ha investito in soli due anni per realizzare – tra le altre cose – scuole e piste ciclabili e fare manutenzioni straordinarie, si aggiunge anche l’impegno della Regione per connettere a banda larga entro pochi anni l’intero territorio) e investimenti privati, con l’insediamento di nuove aziende e ampliamenti di storiche imprese locali. E questo si somma al continuo aumento dei turisti e alla richiesta di prodotti della nostra terra, primi frutti del lavoro congiunto di valorizzazione del nostro patrimonio paesaggistico e agricolo, di cui l’Osteria Stagioni e il negozio situati nella cornice prestigiosa di Eataly in centro a Bologna e dedicati ai prodotti di Valsamoggia, sono un esempio.

Saranno forse tutte queste caratteristiche a rendere attrattiva Valsamoggia, che – forse non è un caso –, è uno dei comuni più ‘giovani’ di Bologna, capace di integrare generazioni diverse e di attrarre nuove famiglie: qui c’è una comunità che ha avuto il coraggio di scommettere sul futuro, invece di piangere guardando al passato.

Ora, un nuovo accesso dedicato sulla principale viabilità d’Italia è un faro puntato su tutto questo: un sistema di comunità che insieme, con la forza derivante dallo stare unite, rendono sempre più attraente, vivibile e vivace il nostro territorio.

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